Nel mondo della cooperazione allo sviluppo ci si interroga spesso sull’efficacia dei progetti, sulla capacità della nostra azione di contrastare le cause profonde, complesse e multilivello della povertà, dell’ingiustizia e delle disuguaglianze.

Che il nostro sguardo sia di breve, medio o lungo termine, quantitativo o qualitativo, la questione centrale è come generare cambiamento duraturo e misurabile.

Su che basi? Con quali indicatori? Ma soprattutto: per raggiungere quali obiettivi di cambiamento? È proprio per rispondere a queste domande che, già a partire dagli anni ’90, in ambito anglosassone si è sviluppato quell’approccio metodologico che si chiama Theory of Change (ToC), Teoria del Cambiamento.

Da un lato, si è voluto dare conto a sempre più forti esigenze di valutazione, sulla scia di modelli logici quali il Logical Framework Approach, spesso sulla spinta dei principali finanziatori.

Dall’altro, è maturata un’esigenza interna alle stesse organizzazioni di cooperazione internazionale, legata alla necessità di mostrare in modo sempre più chiaro e rigoroso il cambiamento generato in aree molto fragili o caratterizzate da conflitti.

Necessità ulteriormente sollecitata dalle accuse di sprechi, corruzione e inefficienze cui il settore degli “aiuti allo sviluppo” è costantemente sottoposto.

Attenzione però a non imbarcarvi in un esercizio come quello della ToC per esigenze esclusivamente esterne (per esempio: rispondere alle richieste del finanziatore), poiché porterebbe a una semplice operazione di maquillage, ad applicazioni superficiali e puramente meccaniche dello strumento: si cambia tutto per non cambiare nulla.

In questo modo si perde però un’opportunità preziosissima per crescere apprendendo dai propri fallimenti e dai propri successi, di raggiungere risultati di impatto significativi.

D’altro canto, il ruolo del finanziatore è centrale. Si pensi soltanto al costo di una valutazione d’impatto rigorosa, che utilizzi metodi controfattuali per verificare le ipotesi di una ToC e che si sviluppi a due anni dalla fine di un progetto: non può essere messa totalmente in conto all’organizzazione che implementa il progetto, dovrebbe essere quantomeno co-finanziata dal donor.

Altrimenti solo le grandi organizzazioni, quelle più strutturate e con maggiori risorse a disposizione, potrebbero permetterselo.

Più in generale, la centralità della ToC richiederebbe un’alleanza fra tutti gli attori coinvolti in un progetto (società civile, istituzioni, privato sociale e imprese private), perché a tutti dovrebbe interessare la capcità di generare un impatto reale, sostenibile e misurabile. Ciascuno dovrebbe partecipare per il proprio ambito specifico di competenza, lasciando aperte possibilità di contaminazione fra i diversi attori.

È sotto agli occhi di tutti che le dinamiche in cui oggi operiamo abbiano alzato l’asticella della complessità e richiedono sempre più figure professionali altamente specializzate, così come organizzazioni (pubbliche, private, ibride) strutturate per apprendere continuamente dal proprio lavoro e in grado di ottimizzare il proprio impatto.

Anche Governi, finanziatori e società civile sempre più chiedono a chi si occupa di cooperazione internazionale di essere in grado, in modo rigoroso e trasparente, di dare conto delle proprie reali capacità di generare cambiamento, di essere sempre più “accountable” e trasparente.

Perché utilizzare l’approccio metodologico della ToC per rispondere a tutte queste esigenze?

Come mai si sta diffondendo così rapidamente? È un modello rigido e codificato che si può applicare a tutte le situazioni? C’è accordo fra i differenti stakeholders su che cosa sia la ToC? Su come e quando applicarla?

Rispondere a tutte queste domande non è affatto semplice, ma certamente la letteratura a riguardo ammette compatta che esiste una serie di caratteristiche base su cui tutti sono sufficientemente d’accordo. Una ToC include sempre:

  • Una chiara esplicitazione delle ragioni alla base di cambiamenti reali e duraturi in una specifica area tematica (il “perché” e il “come”);
  • L’articolazione di un percorso che porta a tali cambiamenti attraverso lo sviluppo di programmi, di strutture e di competenze organizzative specifici;
  • Un sistema di impact management & evaluation in grado di testare sia i presupposti sia la strategia sia gli strumenti messi in campo.

Tali caratteristiche ricorrenti si trovano generalmente sintetizzate in un diagramma/schema grafico e in un report narrativo. Sì tratta di documenti di lavoro che, come mostrato nella circolarità dell’immagine precedente, per definizione sono sottoposti a verifica continua per essere integrati e migliorati sulla base delle informazioni resituite dal lavoro di monitoraggio e valutazione.

In conclusione, più che di equivocità nella definizione della ToC, forse si dovrebbe parlare della sua multidimensionalità e della sua flessibilità. Si tratta di caratteristiche che le hanno consentito di adattarsi ai molteplici ambiti e scopi per i quali è stata finora impiegata in cooperazione internazionale (e non solo), spesso integrati fra di loro:

E le vostre organizzazioni, hanno mai utilizzato la ToC?

Se sì, per quale scopo? In quale fase del Project Cycle Management? Con quali risultati? Se no, sareste interessati a farlo nel prossimo futuro? Per quali ragioni? Le domande sono tante e lo si vede dai tanti input che abbiamo ricevuto in materia anche a seguito della pubblicazione l’anno scorso del Vademecum Contributi all’interpretazione del nuovo Quadro Logico EuropeAid.

Come Info cooperazione abbiamo pensato di attivarci per rispondere a questa richiesta di approfondimento sulla ToC e su tutto quello che le ruota intorno. La prima cosa che vogliamo fare è raccogliere le vostre opinioni con un brevissimo questionario online, cui vi chiediamo di partecipare, rispondendo entro il 26 marzo.

Si tratta di 10 semplici domande a risposta chiusa che trovate qui: VAI AL QUESTIONARIO

I risultati complessivi delle vostre risposte verranno condivisi con tutti i lettori attraverso un report che pubblicheremo a breve sempre su queste pagine.

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