Sempre più Donatori, sia a livello internazionale che nazionale, pubblici e privati, stanno chiedendo agli ETS di produrre anche la “Teoria del Cambiamento” (TdC da qui in avanti) che sottostà ai progetti presentati.

Alcuni (pochi) hanno anche iniziato a finanziare lo sviluppo di una TdC, vuoi come pre-condizione necessaria a preparare al meglio la fase di implementazione o di monitoraggio e valutazione (succede con Trust Fund di Unicef come su progetti finanziati da AICS quali Eswatini), vuoi come supporto a livello di capacity building organizzativo (vedi l’omonimo bando di Fondazione Cariplo), per sostenere negli ETS una pianificazione strategica sulla cui base strutturare un sistema di valutazione dell’impatto generato (anche in coerenza con la riforma del Terzo Settore).

Detto così, può sembrare che Donatori ed ETS stiano andando tutti – seppur con tempi differenti – nella direzione di fare emergere con maggiore chiarezza:

  • La consapevolezza della strategia alla base dei programmi/progetti;
  • Le ragioni per le quali tale strategia risulta migliore delle altre (è evidence-based);
  • La chiarezza nel legame causale fra gli output e gli outcome;
  • Il contributo che tali outcome danno a cambiamenti di lungo periodo (impact);
  • Le modalità con le quali si intende dimostrare, in itinere ed ex post, fino a che punto si sono raggiunti i risultati e perché (modello valutativo di misurazione dell’impatto sociale).

La mia impressione in realtà è che – al di là di alcuni casi di eccellenza – permanga per lo più moltissima confusione e ambiguità.

Numerosi ETS vivono la TdC come l’ennesima incombenza burocratica, frutto di una moda del momento, da smarcare il prima possibile (stessa fine del Quadro Logico… ).

Hanno altre priorità (la sostenibilità economica e “salvare il mondo”) e appare loro astratto – per ragioni che vanno però prese molto sul serio, ascoltate e affrontate – il legame fra una buona TdC interna e la loro capacità di:

  • a) Contrastare efficacemente le cause dei problemi che per missione hanno scelto di affrontare;
  • b) Fare raccolta fondi.

Ma la confusione e le ambiguità non sono da meno presso la maggior parte dei Donatori.

Sebbene nei loro siti e nei documenti programmatici sia più o meno facile recuperare le linee guida (cioè le strategie che sottostanno alle diverse forme di finanziamento), è quasi impossibile ritrovare una TdC professionale, rigorosa, strutturata, chiara e di agile lettura.

Certo, la si potrebbe ricavare indirettamente, ma con un lavoro aggiuntivo che ricadrebbe inevitabilmente sull’ETS eventualmente finanziato. E non parlo solo di Donatori in generale, ma anche di quelli che poi chiedono la TdC (e la relativa valutazione d’impatto) agli ETS come pre-condizione a un possibile finanziamento!

In verità, anche i Donatori (soprattutto quelli medio-grandi) avrebbero tutto l’interesse a dotarsi di una TdC, a prescindere dalle modalità di intervento che li caratterizzano e che potremmo sintetizzare con l’immagine nell’intestazione del presente post (immagine che ho preso da: “THEORY OF CHANGE FOR FUNDERS – Planning to make a difference”, Dawn Plimmer and Angela Kail, Think NPC 2014). I vantaggi della TdC per un Donatore sono infatti molteplici:

1. Coerenza e trasparenza:

Se chiedi ai soggetti che finanzi di fornire una #TheoryofChange o di valutare l’impatto generato, dovresti tu Donatore in primo luogo avere una tua TdC (la massima chiarezza possibile su come si genera l’impatto nell’ambito di intervento che caratterizza la tua azione e su come lo valuti nei progetti che finanzi).

Un impatto che non dovrebbe essere la semplice somma dei risultati dei singoli progetti finanziati, ma che dovrebbe rispondere a una strategia sistemica, unitaria. In altre parole, dovrebbe essere interesse innanzitutto del finanziatore, che spesso peraltro risponde anche ad altri donatori pubblici o privati, dare conto di come sta investendo i soldi di cui è responsabile e perché.

2. Identità

Questa chiarezza è fondamentale anche internamente all’organizzazione del Donatore, in quanto rafforza sia il senso di identità e di appartenenza a tutti i livelli (dal Board allo Staff) sia gli strumenti per un più efficace posizionamento (contrastando i rischi di scivolamento fuori dalla Missione e rimettendo al centro il senso del lavoro di tutti i dipendenti e collaboratori).

Il processo stesso di sviluppo di una TdC, essendo partecipativo, è un processo di costruzione identitaria.

3. Learning organisation

La TdC consente al Donatore di apprendere continuamente dai risultati dei progetti finanziati con una forza che altri approcci non consentono.

Grazie alla TdC – un documento aperto, che cresce con le persone e l’organizzazione –, il Donatore può migliorare costantemente le policy interne sui finanziamenti futuri: identificare ed eliminare i “rami secchi” in termini di ambiti e strategie di intervento inefficaci; individuare le priorità; sviluppare, scalando e replicando, le aree di maggior successo; tentare strade particolarmente innovative con dei “bandi pilota” per testare intuizioni emerse dall’apprendimento sui risultati evidenziati in un determinato ambito di intervento.

4. Partnership

Grazie alla TdC i soggetti che si propongono per accedere ai finanziamenti del Donatore hanno la massima trasparenza:

  • o rispetto a quali cambiamenti in termini di outcome ci si aspetta dai loro programmi/progetti nel medio-lungo periodo;
  • o su quali evidenze si basano le scelte strategiche del finanziatore rispetto alle connessioni causali fra outcome di medio e outcome di lungo periodo;
  • o su perché e come andrà valutata l’efficacia degli interventi.

In conclusione, una TdC professionale per un Donatore è molto più efficace di – più o meno strutturate – linee guida, a volte intrise di concetti e valori astratti e altisonanti, raramente utili a guidare una programmazione/progettazione che condivida il rigore nella generazione e nella valutazione dell’impatto.

Tutto a vantaggio di una sempre più forte partnership tra finanziatore e “implementatore”.

Per gli ETS, peraltro, diverrebbe meno macchinoso o artificioso il lavoro di trovare il migliore punto di incontro fra la propria TdC (più o meno esplicitata/sviluppata) e quella del finanziatore.

Si innescherebbe in questo modo (come sta già avvenendo nei casi di eccellenza sopra citati) un processo di contaminazione reciproca nel quale Donatori ed ETS integrano e migliorano insieme la rispettiva TdC.

Del resto, come già ricordato, la TdC è un processo partecipativo, che richiede un costante confronto con gli stakeholders sia interni che esterni, fuori da ogni auto-referenzialità.

Non è un caso se i risultati migliori che ho visto realizzarsi si sono avuti quando Donatori ed ETS, su un programma pluriennale (non ha senso per piccoli progetti brevi), del quale condividono l’obiettivo di lungo periodo (LTO-Long Term Outcome), hanno costruito insieme la relativa TdC in fase di programmazione (su outcome di breve e medio periodo), dandosi anche la possibilità di aggiornarla e rifinirla insieme in fase di implementazione sulla base di periodici momenti di monitoraggio e valutazione dei risultati.

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